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L’altra madre è un libro intenso,il risultato brillante della chimica tra la spensieratezza, la rabbia, la vendetta e la pietà. La storia parallela di due madri e dei rispettivi figli nella stessa città ma che sembrano vivere in mondi diversissimi,lontani anni luce, distanze siderali che solo una città come Napoli è capace di offrire e di far convivere, nel suo bene e nel suo male. Il delitto feroce di soffocare una vita che sta spiccando il volo per mano di un’altra vita che è incapace di spiccare il volo, zavorrata da un disagio sociale e culturale atavico ed inestricabile. La vendetta cieca, ribollente che, malgrado un crescendo pulp e crudele, conosce la pietà nell’incrocio dello sguardo di due madri vinte. Una storia dal ritmo sempre molto incalzante, montato in maniera molto originale e veloce e che coinvolge il lettore in una efficace altalena di sensazioni.
Meraviglioso emozionarsi nel finale di un libro ancora prima che venga l'alba. Uno spaccato di Napoli in cui tutta l'umanità viene fuori come la schiuma dolce che si mette nel caffè. Una storia di dolore che diventa catarsi e i destini, se si usa il cuore quando c'è, si incrociano in un istante salvifico che torna a rendere la vita qualcosa degno di essere vissuto. Uno stile molto pulito dove il napoletano anche per una profana come me è immediato, semplice da capire e "rende" perfettamente lo spirito del libro. Super consigliato Vi lascio l'incipit: "Lo vedi l'orizzonte?" Ha detto una volta un amico mio. E mentre lo diceva ha indicato con la mano l'azzurro del mare che si stagliava lontano mischiandosi con il cielo. "Lo vedo, e allora?" "E allora, a guardarlo da qua, pare che la' in fondo ci sta la fine di ogni cosa. Però poi, quando ci arrivi, ti accorgi che non era la fine, ma solo l'inizio di un altro orizzonte". "E vabbuo'," ho detto io "ma questo è un fatto che lo sanno tutti". "Sissignore, o'ssanno tutti, ma poi nisciuno s''o ricorda
Bellissimo romanzo che analizza sentimenti quali la rabbia, il dolore, la tentazione ad autogiustificarsi, a cedere alla via più facile, la paura adolescenziale di non essere ritenuto all'altezza. In Genny e nel suo percorso di formazione c'è tutto questo. Il romanzo è quindi adatto non solo agli adulti che si possono ritrovare nello strazio della madre, ma anche ai giovani che troppo spesso non tengono presenti le conseguenze delle loro azioni.
Recensioni
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(…) Genny è un ragazzo di sedici anni, uno di quelli con la testa a posto, che lavora come cameriere in un bar, è simpatico a tutti per le pose che assume; è anche un bravo figlio, uno che sa che a casa c’è la mamma che lo aspetta, e che mamma: una donna che passa la giornata a cucire orli ai pantaloni per una miseria, una che fa pause o per leggere la sorte nelle carte o per prendere un po’ di ossigeno dalla bombola perché è molto malata.
Su un altro fronte c’è Tania, una quindicenne, anche lei una brava ragazza, una che studia e che è ancora una bambina; sua madre Irene fa la poliziotta. Succede che Genny, quasi per raccogliere una sfida, accetta la proposta di un piccolo delinquente di quartiere, quella di accompagnarlo su un motorino per scippare qualche vittima designata. La sorte vuole che la vittima sia Tania, appena uscita da un negozio dove ha fatto shopping con la sua migliore amica. Ma quella che doveva essere solo una malefatta, una bravata ordinaria, si trasforma in una tragedia: Tania è una tosta, una che non molla, però cade, sbatte la testa sul marciapiede, e muore.
Genny si trova così in una situazione che non aveva previsto: diventa la preda braccata da Irene (…) conferma in questo romanzo il talento che aveva manifestato in Dieci, il libro di racconti che nel 2007 lo ha fatto conoscere al pubblico, un talento che era apparso un po’ attenuato nei due lavori successivi – Chi ha ucciso Sarah? e Lu campo di girasoli. Oltre a una trama in grado di sorprendere, e di tenere in scacco la prevedibilità del lettore durante l’intera durata della lettura, il fattore che conquista maggiormente è la maestria con cui Longo padroneggia la materia prima della scrittura, la maniera in cui si dimostra capace di dare colore e carattere ai personaggi attraverso la duttilità di una lingua che si modella sulla cadenza del dialetto napoletano e che, prima ancora delle vicende, trasporta chi legge dentro quel luogo unico al mondo che è Napoli.
I protagonisti sono anzitutto fatti di linguaggio, sono quello che dicono – come lo dicono – e quello che fanno, e tanto basta a farli emergere come figure a tutto tondo, senza alcun bisogno di introspezione psicologica. Per questo la lettura si accende di visibilità: sembra davvero di vedere un film – e sarebbe auspicabile che questa bella storia venisse quanto prima scelta per una trasposizione cinematografica.
Recensione di Francesco Pettinari
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