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Non è un romanzo, è un assieme di due disparati racconti: 1°: Follia; 2°: Pazzia. Nel 1° Alice (25 anni) intesse una relazione con Ezra, premio Pulitzer di 70 e più anni, ben malconcio in salute e quasi cadaverico. E’ una ‘missionaria del sesso’ lo fa per passione (!) anche se Ezra non le risparmia regali. Tipiche azioni di Alice: gira con le mutande in tasca e ‘ravana col dito a uncino tra le pieghe umidicce’ per estrarre un profilattico incastrato in vagina. Ezra non è da meno: ‘quella notte che ti ho scopata di culo per tutto quel tempo … avevi una tale riserva di scoregge […] e io te le ho tirate fuori tutte a forza di fotterti’. Sono mini-episodi d’intenso lirismo che porteranno Halliday in dirittura d’arrivo per il Nobel! Dialoghi banali e trama inesistente, con divagazioni su Hitler e camere a gas che nulla hanno a che vedere col racconto. Nel 2° Amar Ala Jaafari, iracheno in transito a Londra verso l’Iraq, viene bloccato in aeroporto da zelanti doganieri che lo sospettano di terrorismo e gli rifiutano l’accesso al territorio inglese. Seguono siparietti sull’ottusità di questi dipendenti e la ripetizione d’inutili interrogatori. Mentre è incastrato tra le pieghe del sistema, Amar divaga su numerosi episodi della sua via passata e non ci risparmia lezioni di politica mondiale da Clinton fino ai giorni nostri, che ovviamente comprendono la bellicosità degli Yankee. Non ci si salva neppure da lezioni di genetica umana su ‘orphan diseases’) che Halliday deve aver scaricato da Internet oppure da libri di testo su malattie genetiche. Anche qui la trama è un divagare continuo senza uno scopo o una meta. Inoltre Halliday dimentica che questa sceneggiata della prigionia tra le pieghe di una gigantesca hall degli arrivi è già stata narrata con intelligenza e grande ironia da Steven Spielberg nel suo film The Terminal (starring Tom Hanks). E’ meglio Follia o Pazzia? Lasciamo perdere via.
Non lo consiglio. Di difficile lettura, si fa fatica ad arrivare alla fine. La prima parte non risulta affatto accattivante, mentre la seconda appare pretenziosa, in contro risposta alla prima. Non è tra i libri che suggerisco per una lettura sotto l'ombrellone.
Se è vero, come si legge ovunque, che Asimmetria è un nuovo sorprendente capitolo del Grande Romanzo Americano, evidentemente allora non fanno per me le magnifiche sorti e progressive di quest’ultimo, oppure sono rimasta obnubilata dal – troppo – incenso bruciato attorno a questo libro e non ho saputo coglierne le tanto decantate qualità. Sia detto, naturalmente, come mia modestissima opinione. Senza pretesa alcuna di esaustività, icasticamente potrei definire – e archiviare – questo romanzo come frammentario, inconcludente, e infine, inadempiente rispetto alle promesse di originalità, intelligenza, umorismo ed eleganza che lo accompagnano.
Recensioni
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La bravura di Halliday e l’appagamento del lettore? Simmetrici
Asimmetria (259 pagine, 17 euro) di Lisa Halliday, tradotto da Federica Aceto per l’editore Feltrinelli è uno dei libri più chiacchierati del momento. Comprensibile che scriverne metta una certa ansia, essendo alta la probabilità di riproporre informazioni e considerazioni già lette altrove. Correrò il rischio, dato che consigliare un titolo è un azzardo – a metà strada tra la pratica altruistica dell’apostolato culturale e la narcisistica esaltazione dei gusti personali – soggetto a pulsioni incontrollabili.
Già all’indomani della pubblicazione in America, la fama di Asimmetria, esordio della Halliday come romanziera, ha creato anche in Italia una discreta attesa, favorita dalle curiosità a proposito del legame amoroso tra l’autrice e uno scrittore in odore di Nobel, identificabile con Philip Roth, oggetto della prima delle tre storie in cui si articola il romanzo. Confesso che il desiderio di guardare dal buco della serratura l’insolito interno di coppia tra Roth, il mio preferito di sempre, e la sua giovane amante ha giocato un ruolo determinante sulla mia volontà di leggere il libro.
Felice di dire che vi ho trovato altro.
“Follia”, prima parte del romanzo, si divora velocemente e con piacere, eppure la liaison tra l’aspirante scrittrice Mary-Alice e il pluripremiato autore Ezra Blazer sarebbe insoddisfacente a giustificare la corale euforia, se non ci fossero le altre due parti del romanzo, “Pazzia” e ” Desert Island Discs con Ezra Blaser” a seguire.
Il fatto privato, con l’indovinatissima terza persona di cui la Halliday si serve per neutralizzare se stessa in qualità di protagonista e rivendicare il ruolo di scrittrice, scorre via, infatti, senza l’incisività che avrei sperato, nonostante il suo pur interessante carico di asimmetrie: giovinezza versus vecchiaia, salute contro malattia, aspirazione a diventare scrittrice contrapposta al compimento pieno di tale ambizione professionale.
È quando ho rinunciato a separare la «verità» dalla «finzione», come se queste categorie il romanziere non le scartasse fin dall’inizio e per dei buoni motivi – parole di Ezra – e mi sono messa «ad ascoltare la composizione», che sono rimasta folgorata dalla crescente intensità del testo.
Le asimmetrie che si avviluppano nel flusso di reminiscenze e meditazioni di “Pazzia”, il racconto – questo in prima persona – nel quale sprofonda il giovane economista iracheno Amir, bloccato dalla polizia di frontiera nell’aeroporto di Heathrow per un weekend, rimpolpano il romanzo, facendolo salire considerevolmente di livello poiché impongono al lettore un cambiamento di ruolo. L’altalena narrativa tra sfera individuale e dimensione di più ampio respiro sociale della vicenda di Amir, in cui si materializzano i secoli di dissidenza culturale e ideologica tra occidente e oriente, hanno, difatti, reso anche me, irretita dall’insolito gioco di prospettive ordito dalla Halliday, una cacciatrice di dicotomie.
Insomma, sono rimasta sorpresa e deliziata – prendo a prestito parole dal libro – «dalla sicurezza di questa scrittura, dall’equilibrio perfetto, dall’arguzia fulminante». Soddisfatta anche quando ho visto, nella parte conclusiva del romanzo, il mio seppur residuale desiderio di reductio ad unum svanire.
In “Desert Island Discs con Ezra Blaser”, l’intervista radiofonica dell’ultima sezione, infatti, Ezra squaderna i propri ricordi sull’onda di brani musicali per lui particolarmente evocativi, flirta apertamente con la conduttrice, esibisce la sua arroganza di seduttore e la saggezza di scrittore, ma lontano dal tirare le somme, continua, imperterrito a disseminare esche.
A voler fare il punto finale potrei azzardare che siamo di fronte al raro caso in cui Lisa Halliday e la sua l’idea di un mondo asimmetrico siano confutabili, essendo perfettamente simmetrico, qui, il rapporto tra bravura dello scrittore e appagamento del lettore: entrambi agli stessi, altissimi livelli.
Recensione di Antonietta Molvetti
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