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Anno edizione: 2018
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La scrittura di Bernhard è sempre stilisticamente molto originale: tesa, ossessiva, martellante. Tuttavia, a mio avviso, in questo libro non siamo di fronte ad una delle sue opere più riuscite, almeno a confronto con la caratura de Il nipote di Wittgenstein o Il sovversivo. E' comunque un libro consigliato a chi ama questo grande scrittore.
Recensione contro corrente. Mi chiedo cosa possa piacere di questo libro: il bisogno di sentirsi intellettivamente elevati? oppure culturalmente superiori? Per me è solo un libro logorroico, irritante e insignificante: ciò dipenderà probabilmente da miei limiti. Ma... mi è parso che anche le speculazioni per così dire "filosofiche" siano abbastanza fragili.
Come in Antichi Maestri, come ne La fornace, come nel finale di Perturbamento, il testo coincide con un torrenziale monologo del solito, sarcastico, tagliente, asociale misantropo bernhardiano, Oehler per l’appunto, che attraverso le sue esternazioni ci racconta a pezzi e bocconi la storia dei suoi amici Karrer e Hollensteiner, il primo ricoverato allo Steinhof (lo storico manicomio di Vienna) perché uscito di senno; il secondo, chimico brillante ma emarginato in patria, suicida. Ricorda un po' la struttura triadica de Il soccombente; ma stavolta non c'è la musica a fare da collante, piuttosto le camminate che Oehler faceva regolarmente con Hollensteiner e con Karrer, camminate filosofiche (stile Nietzsche) durante le quali ci si scambiavano idee e giudizi (c'è da immaginarlo) feroci e spietati...
Recensioni
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Thomas Bernhard, il senso errante
di Andrea Santurbano
Nella sintassi musicale, il da capo indica la necessità di ripetizione di un pezzo, e i due punti sullo spartito ci invitano a tornare indietro, indicando l’episodio da rieseguire. In modo similare, certa letteratura fa scorno alle grammatiche tradizionali utilizzando questo segno di interpunzione alla fine, come indice di apertura o differimento, ma anche, a ben pensare, come invito ad un ricominciare daccapo, potenzialmente infinito. I due punti, ad esempio, li troviamo in chiusura dell’Hilarotragoedia di Manganelli o della Storia seguente di Cees Nooteboom (chissà perché omessi nell’edizione italiana!), a suggerire fors’anche una circolarità della lettura, una possibilità infinita di ricominciare, un inseguimento costante alla logica del senso. In Thomas Bernhard, al contrario, due punti così non li troviamo mai, eppure è come se la sua trama verbale fosse spesso segnata da questo da capo, intessuta com’è di continue ripetizioni e variazioni che si susseguono ininterrottamente sulla pagina. Camminare, in tal senso, è un libro capitale: uscito nel 1971, ha atteso per ben 47 anni una traduzione italiana, finalmente pubblicata da Adelphi nella versione di Giovanna Agabio.
Se il camminare, col suo ciclo ritmico, ripetitivo, rituale, replicato ogni giorno da chi ne fa una prassi igienica e mentale, già di per sé ricorda l’esecuzione ripetuta di una partitura, per l’autore austriaco scomparso nel 1989 questo gesto assume le vesti di una vera e propria sclerotizzazione della ragione e del linguaggio, nello scenario dello spazio urbano di Vienna. «Mentre io, prima che Karrer impazzisse, camminavo con Oehler solo di mercoledì, ora, dopo che Karrer è impazzito, cammino con Oehler anche di lunedì»: così recita l’incipit, praticamente l’unico passo in cui l’io narrante parla in prima persona, che prelude ad una martellante sequenza di discorsi terzi riportati senza pause sino alla fine. Siamo lontani dalla wanderung romantica, dal passeggiatore che cerca una riappropriazione del mondo e della realtà attraverso un’immersione nei sensi, o dal camminare come pratica estetica: qui, il piccolo stradario tracciato attorno ai personaggi li incastona in confini inesorabili e ineludibili. Siamo lontani anche – qualcuno lo ricorderà – dalla Vienna crepuscolare, popolata da strambi personaggi, che fa da sfondo alla conversazione ininterrotta, o quasi, della giovane coppia, interpretata da Ethan Hawke e da Julie Delpy, in Prima dell’alba, film del 1995 che originerà una fortunata trilogia. Eppure, le sequenze finali della pellicola, nel riproporre gli scorci mestamente vuoti che prima ospitavano il serrato dialogo dei protagonisti, vengono accompagnate da una sonata di Bach, autore caro a Bernhard, di cui peraltro la colonna sonora offre una delle Variazioni Goldberg, significativamente al centro del Soccombente, la bellissima «variazione» (tanto per rimanere in tema) romanzesca di Bernhard, ispirata alla figura di Glenn Gould.
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