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Anno edizione: 2017
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Sconvolgente lettura! La giovane poetessa inglese con la sua parola poetica vuole svegliarci e farci arpire gli occhi sul mondo che viviamo. E lo fa con un'abilità poetica senza precedenti: la parola può essere usata ancora per sferzare i potenti e per un serio impegno civile e sociale.
Kate Tempest, londinese classe '85, è una delle artiste più interessanti e poliedriche – è performer, poetessa, rapper, autrice teatrale – degli ultimi anni: i suoi testi rivelano una profonda capacità di analisi della società contemporanea, delle sue falle e contraddizioni, dell'animo umano e della generazione sua coeva. Questo libro è la versione cartacea di quanto già recitato e musicato con passione nell'omonimo disco "Let Them Eat Chaos". Mi raccomando, leggetelo ad alta voce: ve lo chiede l'autrice.
Ottima prova. Descrive efficacemente il mondo e la società odierna, le sonorità sono molto interessanti e a tratti richiamano canzoni pop e rap. Molto buona anche la traduzione
Recensioni
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La poesia, si sa, sta sempre peggio.
I racconti vendono poco? La poesia meno.
La narrativa di qualità fatica in libreria? La poesia non ci arriva proprio.
Il campo letterario è fatto di gruppi? Quello poetico di conventicole.
I romanzieri non arrivano a fine mese? I poeti crepano direttamente di fame.
Eppure non si dice che dietro a ogni romanziere c’è un poeta fallito? Non è ovvio che una poesia davvero riuscita sfondi barriere che un grande romanzo può solo sfiorare?
Che fare allora? Forse solo ribadire che c’è ancora, sugli scaffali, poesia che merita di esser letta e consigliata.
Non manca atmosfera a Kate Tempest, inglese dell’‘85, che la poesia l’ha addirittura riportata in classifica. I suoi sono versi nati per i jam, imparentati con le rime di un MC su una traccia jungle (cosa che Tempest fa benissimo: si cerchi Ketamine for breakfast su YouTube) e quindi “scritti per essere letti ad alta voce”, come indicato all’inizio del libro. Quello di Kate è un viaggio pieno di rabbia nel vissuto della prima generazione a cui il capitalismo si è presentato solo come un’atroce fregatura, e se a volte pecca in retorica, tutto svanisce se la si legge come è pensata per esser letta: ad alta voce, ritmata, urlando e ritrovando in gola il cuore e la forza brutale che esprime.
Vanni Santoni
Kate Tempest e la brexit in versi
La psicosi delle 4.48 – l’ora che le statistiche indicano come la piu? adatta al suicidio – e? diventata super-iconica dopo che Sarah Kane ci ha intitolato uno dei suoi drammi piu? belli e piu? celebri, prima di togliersi lei stessa la vita.
Un’altra giovane inglese, Kate Tempest (classe’85), con una dannazione che mutua l’autolesionismo in rabbia sociale, sposta di mezz’ora indietro le lancette (alle 4.18) per scrivere il suo poema corale, in cui sette personaggi della Londra contemporanea si ritrovano nelle rispettive case (con tutte le varianti di degrado e aspirazione al lusso) a contare “le pecore dei loro stupidi sbagli”, incapaci di prendere sonno, nonche? di svegliarsi.
Persino l’alba di un nuovo giorno sembra un miraggio nel loro purgatorio notturno, popolato da demoni che non riescono a scrollarsi di dosso e schiacciati da un passato che “e? un posto immenso”. Kate Tempest e? diventata una voce potente della sua generazione (a volte con derive di sloganismo movimentista post-gentrificazione, che rischiano di ricordare i volantini delle associazioni di quartiere) e, quando si parla di lei, ci si meraviglia sempre che la poesia possa rivelarsi uno strumento cosi? persuasivo e pop (i reading di Tempest riempiono sia i palchi dei teatri sia quelli dei festival musicali).
Il che fa sorridere, se pensiamo che un poema come Urlo di Allen Ginsberg continua a mietere accoliti e resta uno dei testi piu? citati al mondo (forse e? perche? le menti migliori di ogni generazione alla fine tendono ad assomigliarsi). Eppure sembra che a intervalli regolari bisogna stupirsi se la poesia “spacca”, o se i poeti non sono la caricatura risibile che tendiamo a farne: Leopardi tristissimi e fuori tempo massimo.
Ma il rovescio della medaglia e? che se un poeta ha successo e si trasforma in un comunicatore, si corre il rischio che la sua opera venga sopravvalutata in maniera indiscriminata. E? il caso di Tempest e del suo Let Them Eat Chaos, uscito sia come poema (da leggere ad alta voce, secondo le direttive), che come disco. E qui scatta l’altra forma di meraviglia, perche? si?, si puo? essere insieme poeti, performer, rapper (come se non bastasse Tempest e? anche romanziera e drammaturga), e cercare un flow che se ne infischia allegramente di auto-ghettizzarsi in un genere.
Il mio consiglio personale, se non conoscete Kate Tempest, e? di vedervi soprattutto le sue performance dal vivo (va benissimo pure YouTube). Poi potete declamare ad alta voce Let Them Eat Chaos (meglio in inglese pero?, non per fare i puristi, ma in italiano il flow si perde) e sentirvi il suo primo album: Everybody Down.
Recensione di Veronica Raimo
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