(Rudiae, od. Rugge, Taranto, 239-169 a.C.) poeta latino. Militò nel 204 fra le truppe ausiliarie romane in Sardegna e da qui Catone il Censore lo portò a Roma, dove si affermò come poeta ufficiale, ottenendo anche la cittadinanza romana. La sua fama è essenzialmente legata agli Annales, poema epico in 18 libri, che, in molte migliaia di versi (ne restano circa 600), celebra la storia di Roma dalle origini fino ai tempi dell’autore. In esso per la prima volta l’arcaico verso saturnio è sostituito dall’esametro dattilico della tradizione omerica. E. si dedicò anche al teatro, in tutte le sue forme: scrisse commedie (ne abbiamo 4 versi), considerate mediocri dagli antichi, tragedie (abbiamo circa 20 titoli e 400 versi), in cui fu grande, e due preteste (Sabinae e Ambracia). Le opere minori di E. sono: Scipio, una celebrazione di Scipione l’Africano e della vittoria di Zama, 3 operette di carattere filosofico (l’Epicharmus e i Praecepta in settenari trocaici e l’Heuhemerus in prosa); l’Hedyphagetica, poemetto gastronomico in esametri; il Sota e infine le Saturae, 4 libri in versi polimetri (70 conservati). In possesso di una solida cultura greca di tipo ellenistico, oltre che osca e latina, E. fu sempre venerato come il «padre» della poesia romana, anche quando il gusto letterario cambiò e il suo linguaggio apparve arcaico. Ma per capire la sua importanza basta ricordare le tracce da lui lasciate nelle opere di Lucrezio e Virgilio.